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Un giorno Dario T. Pino e Francesco Lipari invitano a pranzo Giovanni Arena, contrabbassista di Catania con il quale condividono la formazione compositiva con Alessandro Solbiati. Giovanni era entusiasta dell'idea di improvvisare con loro.

Da quell'incontro nacque il singolo Agni Parthene, basato su un canto devozionale ortodosso non liturgico dedicato alla Vergine Maria.

Perché un canto ortodosso? Le radici profonde della Sicilia sono greche e fino alla romanizzazione del rito anche la liturgia e la fede erano greco-bizantine. Ha un significato simbolico, non scientifico. Ne abbiamo parlato più diffusamente nel precedente articolo.

Francesco, polistrumentista, sceglie il flauto basso: frammenti melodici del brano si ricompongono per sfociare nella citazione letterale della melodia, più volte, nel finale. È come puzzle che nasce dai singoli pezzi che, ammucchiati su un tavolo, non danno l'idea del quadro finale, se non per qualche dettaglio.

Guida all’ascolto

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Il brano si nutre di contrasti: tradizione e modernità, trascendenza e immanenza, polifonia e monodia, voce e strumento. Contrasti che percorrono tutto il brano, a tratti esaltati e altre volte annullati (come a dare quel senso di serenità interiore tanto agognata).

Un bordone fa da sfondo a tutto il pezzo. È una nota cantata su un LA molto grave che a volte scompare, altre emerge, altre ancora sovrasta tutto il resto. Dal bordone affiorano i due strumenti, contrabasso e flauto basso, eseguendo solo rumori con ogni possibile mezzo: con l’archetto battuto, sfregato, con il soffio nello strumento, insomma l’intero corpo dello strumento diventa cassa di risonanza.

La scelta del rumore è voluta e forte. Se ci riflettiamo il rumore è nato ben prima del suono. Sono rumori quelli che sentiamo per la maggior parte intorno a noi; sono rumori ciò che producono i primi strumenti mai costruiti - le percussioni.

Il contrabbasso inizia il brano. Intorno al primo minuto si aggiunge il soffio del flauto che diventa amplificazione del fiato dell’esecutore, ovvero del respiro, ovvero della vita.

Da qui e per quattro minuti, gli esecutori danno sfoggio di bravura tecnica ed espressiva costruendo una sorta di contrappunto tra gli strumenti. Un crescendo emozionale condito dai riverberi e dalle risonanze dell’elettronica.

Subito dopo il bordone tace per un minuto e mezzo circa; gli strumenti emergono continuando il percorso di avvicinamento al suono, alla melodia, che finalmente si palesa nella sua severa e ieratica maestosità al minuto 6:22.

È l’apoteosi della conquista melodica. Tutte le componenti sonore del brano si uniscono in una sorta di orgia sonora che si spegne nello stesso silenzio iniziale.